domenica 28 aprile 2013

I vecchi saggi


Ci sono due modi di invecchiare: da individuo normalmente socializzato e da insegnante. L'individuo normalmente socializzato, man mano che si inoltra nella selva oscura della tarda età, guadagna un sano distacco dalle storture della vita, rivede la sua alimentazione eliminando alcune piacevolezze pericolose per l'apparato digerente, smette di fumare il tabacco e, non potendo concedersi la marijuana, si impasticca di droghe prescritte dal medico e si sintonizza su una serie di attività inoffensive – il burraco, la coltivazione dei pomodori in terrazzo, il ritaglio dei quotidiani.
Gli insegnanti, invece,
invecchiano in un altro modo. Il giorno in cui si congedano dagli ambienti scolastici non coincide mai con la fine della loro missione didattica. Per come la vedono loro, il congedo è stato sempre prematuro: loro hanno ancora molte energie da spendere. Dunque che fare? È semplice: si tratta solo di riorientare i loro talenti e di individuare l'argilla da modellare e il comportamento sbagliato da emendare. Un insegnante in pensione non ha alcun modo né alcuna volontà di rinunciare alla sua missione civilizzatrice. Viaggia appesantito dal suo fardello, ma al tempo stesso è fiero della missione etica che deve compiere.
Per conseguenza, l'insegnante in pensione non si limita ad andare al circolo per giocare a carte. Quando vi arriva per la prima volta, deve riorganizzarne il funzionamento e razionalizzare il torneo di rubamazzo, in modo che esso risponda a una precisa tabella di marcia, nella quale siano identificabili regole ben precise, possibilmente rigide come le tavole della legge, e altrettanto prive di fondamento. In nessun caso, tuttavia, l'insegnante in pensione impone il suo volere o i suoi desideri. Al contrario, egli ambisce a convincere i suoi interlocutori dell'innegabile ragionevolezza del suo volere. Li sottopone quindi a interminabili sermoni, durante i quali non tollera interruzioni, pur continuando a ripetere democraticamente che chiunque voglia intervenire può farlo. Accade sovente che gli astanti, gli ospiti del circolo o del bar o del luogo di ritrovo, prendano ad ascoltarlo con attenzione in principio, per poi demotivarsi dopo la terza invettiva moralizzante, e andarsene definitivamente alla fine della quinta. In effetti, i sermoni dell'insegnante in pensione mancano sempre di un finale, di una conclusione congruente, perché l'insegnante in pensione di rado riesce a ultimare il suo discorso con un pubblico presente e pensante.
L'insegnante in pensione non cessa la sua missione moralizzatrice in nessun momento della giornata. È infaticabile e attento, e anche stampellato è sempre in cerca di qualcuno da ammonire. Per strada, rimprovera duramente il giovane ciclista che attraversa col rosso, sgrida il cane che zampetta trasversale sul marciapiede, e imbocca coraggiosamente le strisce pedonali soprattutto quando intravvede una macchina in arrivo in palese violazione di ogni limite di velocità. In quest'ultimo caso, solitamente, si arresta nel mezzo della strada col preciso scopo di costringere l'automobilista incauto a fermarsi per permettere a lui di completare l'attraversamento. Certo, potrebbe togliersi di mezzo più rapidamente, ma poi che ne sarebbe della sua missione educativa? L'insegnante in pensione è consapevole del fatto che la sua vita vale ben poco se confrontata con la necessità di educare un estraneo a fermarsi davanti a un pedone sulle strisce.
L'insegnante in pensione è molto temuto nei supermarket. Egli controlla minuziosamente il prezzo al chilo di ogni prodotto, confrontando i vari prezzi unitari e spesso arringando gli altri acquirenti sulle procedure scorrette e ingannevoli con cui vengono compilate le etichette. La spesa diventa in questo modo una operazione estremamente faticosa, ma socialmente utile, almeno per come la vede l'insegnante in pensione. Quando stremato egli si avvia alle casse, avendo acquistato due olive, alcuni fiammiferi e una sola fetta di pancetta, seleziona con estrema attenzione la fila in fondo alla quale collocarsi. Non appena giunge il suo turno, egli intreccia una lunga, istruttiva conversazione con la graziosa commessa, che lo chiama “professore” e che è tanto gentile. A volte le recita anche preziosi frammenti di creazioni poetiche oggi dimenticate, in favore di imbarazzanti rime nelle canzoni di Max Gazzé. Questo suo comportamento a volte esaspera i frettolosi compratori alle sue spalle, che, in seguito a ripetute manifestazioni di insofferenza, vengono ammoniti sulla necessità di prestare attenzione alle esigenze degli anziani.
A sera, l'insegnante in pensione si accomoda al suo desco per commentare la radicale barbarie della televisione, l'inciviltà dei tempi contemporanei e la necessità di una rinascita culturale. L'insegnante in pensione non ha dubbi sulla fondatezza delle sue critiche e confida che un giorno il mondo gli darà ragione. L'insegnante in pensione, spesso, è molto lontano dal sapere che è un sublime stracciazebedei. Si vede piuttosto come una risorsa della comunità. Quando se ne va ad arringare studenti in un mondo diverso da questo, normalmente lascia una traccia. Che a volte è preziosa, altre volte meno, ma mai, proprio mai, è trascurabile. Per questo sono così arrabbiata con uno stato che continua a tartassare gli insegnanti. È che io vengo da una famiglia di insegnanti, ho amici insegnanti e sono insegnante anch'io. E non andrò mai in pensione, grazie all'attuale classe politica e a quelli che son venuti prima. Per fortuna il mio mestiere mi piace. E mi piace per lo stesso motivo per cui credo piacesse, per esempio, a Carlo Oliva: l'idea è quella di insegnare la cultura contro la barbarie. Per questo Oliva andava ricordato qui. Di nuovo. Che non fa mai male...
Nicoletta Vallorani

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