giovedì 29 novembre 2012

DOCUMENTO DEI DOCENTI FIRMATARI DEL LICEO CLASSICO E LINGUISTICO “E. PIGA” DI VILLACIDRO E DELL'ISTITUTO MAGISTRALE “E. LUSSU” DI S. GAVINO


Noi sottoscritti firmatari, docenti del Liceo Classico e Linguistico “E. Piga” di Villacidro e dell'Istituto Magistrale “E. Lussu” di S. Gavino, esprimiamo profonda indignazione alla luce dei recenti tentativi ministeriali, e del Governo tutto, di infangare e sminuire il lavoro della categoria docente. Da anni ormai gli ambienti politici, i mass media e, di riflesso, l’opinione pubblica sono impegnati in una crociata volta alla demolizione della funzione fondamentale dell’insegnante. Ogni compagine governativa non appena insediata ha cercato di mostrare il suo impegno riformatore stravolgendo quella struttura e quelle regole che dovrebbero costituire il fondamento stesso di un settore vitale per la società quale è l’istruzione.
Di umiliazioni il corpo docente ne ha sicuramente  ...
subite tante, indubbiamente molte a partire dal 1997, quando una Commissione di “saggi”, di cui nessun docente non universitario in attività faceva parte, decise contenuti e struttura di una riforma della scuola, pubblicizzata come epocale, che Luigi Berlinguer e il governo di cui faceva parte imposero senza consultare i veri destinatari.
Da quel momento a oggi si sono susseguite quattro riforme, per cui all’Italia si potrebbero rivolgere senza dubbio i versi del divino poeta “Atene e Lacedemona, che fenno / l’antiche leggi e furon sì civili, / fecero al viver bene un picciol cenno / verso di te, che fai tanto sottili / provedimenti, ch ’a mezzo novembre / non giugne quel che tu d’ottobre fili”. Tutte queste riforme nella sostanza sono state dettate a un ministero senza portafoglio dai plenipotenziari dell’economia, ben poco interessati allo sviluppo dei futuri cittadini, dichiarato nei documenti programmatici formulati e sottoscritti a livello nazionale ed europeo. Essi si sono dimostrati in realtà e sopratutto molto preoccupati di rimpinguare le già piene casse del mondo finanziario e bancario, in nome di buchi di bilancio, non creati dai comuni cittadini, e di pressioni sul debito pubblico condite da esterofilia linguistica con altisonanti spread, spending review, etc., che accrescerebbero la portata dei problemi e delle riforme.
Mai tuttavia nessuno, neppure il più ostile dei ministri, era giunto a concepire possibile un così forte e gratuito attacco alle stesse norme costituzionali e contrattuali, poste a garanzia dell’esistenza di una nazione.
Infatti, la proposta emersa dall'art. 3 della “legge di stabilità”:
al comma 42 prevedeva un'estensione unilaterale dell'orario di lavoro prestato dai docenti della scuola secondaria di secondo grado dalle attuali 18 ore di cattedra a 24 a parità di salario (una proposta che non prende in considerazione adeguatamente la validità e le caratteristiche dei processi didattici, nega valore al lavoro intellettuale dell'insegnante, considerando gli adempimenti individuali dovuti, e ribaditi dalla stessa disciplina contrattuale, come una pura appendice di scarsa portata del lavoro quotidianamente svolto in classe). Inoltre tale norma colpirebbe pesantemente le fasce più deboli degli insegnanti che, non coperti da un contratto a tempo indeterminato, verranno rovinosamente espulsi dal mondo del lavoro, dopo aver svolto per anni la funzione di fedeli servitori dello Stato ed essere stati utilizzati per quei compiti e con quelle competenze che ora improvvisamente si dice dovranno dimostrare attraverso un concorso, il cui valore e i cui costi andrebbero attentamente soppesati. Tali azioni, oltre a ledere nel profondo la dignità professionale e umana dei lavoratori della Scuola, sminuendo la portata del loro lavoro, sottintendendo che allo stato attuale i loro oneri siano inferiori a quelli di ogni altro lavoratore della Repubblica, intacca pesantemente le prerogative contrattuali (forse il ministro si ispira ai nuovi modelli di relazione sindacale importati dall'amministratore delegato della FIAT abituato a formule diffuse nel Nord America?), stabilendo che l'attuale contratto di lavoro possa essere rescisso unilateralmente dalla parte datoriale e contestualmente riscritto operando una estensione della riserva di legge. Questa strategia riproduce e addirittura supera quella adottata dal ministro Brunetta nel 2009 con il D. Lgs. 150, che di fatto ha riformulato integralmente il D. Lgs 165/2001 e limitato profondamente le

prerogative sindacali e con queste i diritti dei lavoratori. Eppure l'art. 39 della Costituzione recita ancora che i contratti collettivi vincolano “tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”, dando forte sostanza giuridica e intangibilità agli stessi contratti;
al comma 43 contemplava l’estensione dei giorni di ferie a 45 (13 in più per il personale con più di tre anni di ruolo e non 15 come affermato dal Ministero!), quale graziosa concessione del Consiglio dei Ministri a fronte dell’aumento di carico settimanale, il tutto ritoccando però al ribasso la disciplina contrattuale, poiché il personale docente “fruisce delle ferie nei giorni di sospensione delle lezioni definiti dai calendari scolastici regionali ad esclusione di quelli destinati agli scrutini, agli esami di Stato e alle attività valutative. Durante la rimanente parte dell'anno la fruizione delle ferie è consentita per un periodo non superiore a sei giornate lavorative subordinatamente alla possibilità di sostituire il personale che se ne avvale senza che vengano a determinarsi oneri aggiuntivi per le finanze pubbliche”, in sostanza abolendo le deroghe previste dall’art. 15 c. 2 del CCNL 2006-2009 e obbligando sempre e comunque i docenti a sostituzioni a costo zero per lo Stato (ma le ferie sono a costo zero per il datore di lavoro?... comprendiamo bene che le varie compagini governative e i mass-media a loro strettamente legati dopo aver informato in maniera erronea l’opinione pubblica, la inducono a continuare a credere alla favola dei tre mesi di ferie, perché i docenti ovviamente lavorerebbero solo in aula svolgendo la lezione frontale con i ragazzi!);
al comma 45, utilizzando peraltro lo strumento della riserva di legge ampiamente fruita dal ministro Brunetta per ledere i diritti contrattuali previgenti, negava il riconoscimento della disciplina contrattuale a prerogative che neppure il D. Lgs. 150/09 aveva osato intaccare, dal momento che quest'ultimo, ai sensi dell'articolo 45 del D. Lgs. 165/01, continuava a demandare la definizione del trattamento economico fondamentale e accessorio ai contratti collettivi.
Noi sottoscritti siamo, inoltre, fortemente indignati per l’uso non rispondente a verità e strumentale che i vertici del Ministero e i mass-media fanno dei dati relativi all’impegno medio dei docenti italiani in rapporto ai colleghi europei.
L’adesione a protocolli d’intesa europei e a programmi condivisi ha portato alla creazione di osservatori internazionali cui si affiancano quelli ormai costantemente presenti nell’immaginario collettivo, quali l’OCED. Le pubblicazioni di tali enti, in un mondo globalizzato, fortemente voluto dagli stessi potentati che oggi chiedono immani sacrifici alla popolazione, prostrata a causa dei danni da essi provocati, informano e permettono a tutti cittadini di usufruire di un capitale di dati in grado di smascherare i falsi pretesti con i quali i “tecnici” coprono le loro azioni.
Così, dai documenti della rete informativa europea Euridyce (cfr. la recente pubblicazione Teachers' and School Heads' Salaries and Allowances in Europe 2012) e OCSE scopriamo che in Italia il dato di servizio in aula dei docenti delle scuole secondarie di secondo grado è maggiore di quello mediamente in vigore in Europa. A tali impegni si sommano gli quelli esterni, da altri paesi europei esplicitati e quantificati (le cosiddette attività funzionali all’insegnamento previste dall’art. 29 del CCNL 2006-2009) e che l’Italia nei fatti non comunica né all'opinione pubblica interna né agli organismi internazionali, tantomeno ai diretti interessati. Una precisa definizione di tali tempi, infatti, sgombrerebbe definitivamente il campo da ogni tentativo più o meno voluto di travisare la realtà lavorativa degli insegnanti.
In sostanza se l’impegno in aula è pari a una media di 17,6 ore in Europa (dato valido se si prendono in considerazione non solo i paesi dell'Unione europea ma tutti i 34 che compongono il nostro continente. Se, infatti, considerassimo i soli paesi dell'Unione emergerebbe ancor di più il trattamento non certo privilegiato dei docenti italiani), i principali paesi industrializzati presentano situazioni addirittura più favorevoli per i docenti, o quantomeno simili a quelle dei pari grado italiani (non dal punto di vista retributivo, che risulta decisamente migliore rispetto al dato italiano). Infatti, in Francia si arriva a 15 ore settimanali per l’aggregé e in Germania, se il ministro e i suoi tecnici avessero avuto la pazienza di utilizzare il proprio tempo ben pagato per leggere i dati, si registrano da 22,2 a 27 unità orarie di 45 minuti ciascuna, vale a dire da 16,575 a 20,25 ore. Altri paesi utilizzano unità orarie di 45’, la Svezia addirittura di 40’, aspetto che anche uno sprovveduto
sarebbe in grado di considerare in rapporto al nostro piano di lavoro che, invece, si basa su unità lavorative di 60 minuti).
Inoltre, va sottolineato che gran parte delle nazioni europee ha volutamente e giustamente quantificato il lavoro complessivo degli insegnanti al di fuori dell'aula, in quanto esso rappresenta parte integrante dell'attività e non ne dovrebbe certo essere omesso il computo. Scopriamo allora (cfr The Learning Environment and Organisation of Schools, in Education at a Glance, OECD 2011, pp. 422-429) che la percentuale di attività frontale prevista nel 2009 in Germania e Olanda si avvicinava al 40% del carico lavorativo e che, addirittura, paesi come la Norvegia, la Danimarca, la Polonia, l'Ungheria e altri della compagine europea prevedevano a tale data carichi inferiori a simile percentuale. In alcuni paesi non viene specificato in modo analitico il tempo speso in attività non in aula e le modalità del suo utilizzo, o, al più in alcuni casi, ciò avviene parzialmente, per ovvi motivi legati alla peculiarità dell'attività lavorativa dell'insegnamento, che, evidentemente, i nostri governanti e mass-media hanno considerato con molta superficialità. Tuttavia, le ore frontali medie previste nella zona EU21 assommano a 628 annue nelle scuole secondarie di secondo grado e loro equivalenti, a fronte di 619 previste in Italia (ma alcuni paesi contribuiscono nettamente a spingere verso l'alto la media, dal momento che stati come la Francia presentano dati assolutamente coerenti con quelli italiani).
In Austria, a fronte di 589 ore annuali di servizio in aula, il lavoro complessivo dei docenti viene quantificato in 40 ore settimanali, nelle quali rientrano la correzione compiti, la predisposizione delle lezioni, gli impegni burocratici, le attività di esame. Tali definizioni sembrano una trascrizione fedele del nostro contratto collettivo nazionale di lavoro all'art. 29, ma la valutazione oggettiva dell'impegno dei propri docenti da parte degli omologhi ministri austriaci è ben diversa di quella supposta, a più riprese, dai ministri Gelmini, Fioroni, Profumo e relative commissioni che si sono avvicendati negli ultimi anni, senza parlare dei precedenti non certo inferiori nel disprezzo della nostra professionalità. Si potrebbe approfondire ancora all'infinito la serie di dati che evidenziano le numerose inesattezze propinate all'opinione pubblica dai “tecnici” del ministero, che sembra ignorino e non si preoccupino di conoscere le molteplici responsabilità della professione docente.
Proviamo dunque noi, professionisti del settore, a quantificare ciò che il ministero non intende esplicitare. Secondo il contratto esiste già un'ora in più d'impegno settimanale rappresentata dalle attività collegiali obbligatorie, alla quale deve essere sommata un'altra ora di attività nei Consigli di classe (per molti docenti si tratta anche di un monte ore superiore a questo, perché vanno sempre scorporate in quanto dovute le ore di partecipazione agli scrutini intermedi e finali). Già così i docenti delle scuole secondarie di secondo grado sarebbero impegnati contrattualmente per un orario di 20 ore settimanali. Qualcuno obietta, in malafede evidentemente, che tutti gli altri lavoratori svolgono circa 45-46 settimane lavorative all'anno e che quindi le “sole” 33 settimane di lavoro che si presume vengano svolte dagli insegnanti siano inferiori al carico lavorativo medio in Italia. Chi esprime tale parere dimentica chiaramente che i docenti proseguono l’attività lavorativa programmata anche quando gli alunni non frequentano le lezioni (esami di maturità, attività collegiali dal 1 settembre, scrutini e attività collegiali dopo la fine delle attività didattiche). A meno che non si voglia credere che i docenti, nel momento in cui alunni e genitori non sono presenti, siano automaticamente in vacanza o disimpegnati, come quando il bambino, coprendosi gli occhi, non vede il mondo circostante, ragion per cui, tramite un falso sillogismo, il mondo circostante dovrebbe non poterlo vedere.
È del tutto priva di fondamento, quindi, l'affermazione secondo la quale il docente italiano godrebbe di tre mesi di ferie, infatti il nostro ordinamento prevede non meno di 200 giorni di lezione (per 619 ore a docente + circa 80 ore collegiali, per un totale di 699 ore di presenza nelle scuole secondarie di secondo grado, che ci si conceda di arrotondare a 700) affinché l'anno scolastico sia valido. Situazioni consimili riguardano gran parte dei paesi europei, con la sola variante che in molti di essi i periodi di riposo sono distribuiti diversamente nel corso dell’anno scolastico. Pertanto, i saldi sono evidentemente uguali alla situazione italiana. A tale monte ore deve poi sommarsi la quota da

dedicare alla correzione delle verifiche scritte e dei test/questionari, che sempre più spesso vengono utilizzati per far fronte alla atavica carenza di tempo da dedicare alla attività didattica primaria. Appurato che ai nostri “tecnici” piacciono i numeri, ragion per cui rifuggono da un’analisi qualitativa dei servizi, se, giusto per quantificare, prendessimo in considerazione tre compiti per classe su una media di tre classi per docente e tre questionari a risposta aperta e / o prove similari per classe a quadrimestre giungeremmo tranquillamente a 36 gruppi di elaborati per anno a docente (i saldi aritmetici cambierebbero poco per materie che non prevedano lo scritto e che contemplino un numero inferiore di ore a settimana per classe, poiché in tal caso aumenterebbero di conseguenza le classi e con esse i questionari/test, etc.) per un numero di alunni medio per classe superiore ai venti e in determinati casi, grazie alla costituzione delle classi pollaio, di gran lunga superiore alle 25 unità. Si conceda pure una media di alunni per classe di 23, sottostimando decisamente il dato generale, giusto per regalare qualche ora al ministero e per non affermare che siamo attaccati alle minuzie, valutando per correzione, valutazione e stesura del giudizio non meno di 20’ medi a compito, otterremmo circa 275 ore, cui aggiungere il tempo necessario alla predisposizione delle prove. Saremmo ancora al di sotto della realtà se giungessimo a pensare a 300 ore di lavoro solo per questa attività. Tale somma ci porterebbe a 1005 ore, ripetiamo, con somme ben inferiori alla realtà fattuale. Aggiungendo a questo dato le attività funzionali cui dobbiamo adempiere in vari momenti dell’anno (programmazione individuale e di classe, le cui strutture vengono continuamente modificate in rapporto alle esigenze della classe e alle continue innovazioni normative che si susseguono nel corso degli anni e spesso anche durante il medesimo anno scolastico, valutazione e medie, relazioni finali, programmi, etc.), tralasciando, peraltro, le infinite scartoffie burocratiche che il ministero di anno in anno ci impone, in barba ai processi di semplificazione che pomposamente afferma di promuovere, potremmo quantificare tale servizio in non meno di 50 ore annue, anche quando parte del materiale sia già stato prodotto in forma digitale per gli anni precedenti. Giungeremmo dunque solo con questi elementi a 1055 ore.
Incrementiamo questo dato con non meno di 100 di ore annue (ma il dato anche in questo caso è necessariamente da rivedere al rialzo) utilizzate da molti docenti per correzione di esercitazioni, tesine d’esame, ricerche e altre attività similari. Inoltre, i docenti devono, come qualunque professionista, aggiornarsi e preparare le lezioni, tanto più in un periodo in cui viene loro richiesta anche la padronanza degli strumenti multimediali. Un’ora o un’ora e mezza al giorno di media sarebbe certamente sottostimata, ma giusto per essere magnanimi concediamo questo dato, tralasciando volutamente la parte relativa alla formazione personale che ciascun docente continua a perseguire (durante l’anno e ancor più nei mesi estivi), riversandola poi nel suo quotidiano lavoro. In questo caso si potrebbe ottenere la cifra di 200-300 ore annue. Eccoci dunque giunti a 1355-1455 ore.
Sommiamo a questo computo gli esami di maturità e similia che vedono coinvolti numerosi docenti nel corso della loro carriera lavorativa. Considerando un dato medio di una singola classe con circa venti alunni, vista la nota alternanza annuale tra materie assegnate a membri esterni e altre afferenti a membri interni e l’esistenza di docenti che in alcuni anni non svolgono tale attività, giungeremmo a 35 ore circa di attività collegiali, 7 ore medie di vigilanza per gli scritti, 7 ore di correzione e valutazione degli stessi, qualora si operi per sottocommissioni, 20 ore dedicate alle prove orali, per un totale di circa 69-70 ore in non meno di venti giorni di lavoro. Gli impegni a scuola, inoltre, vengono sovraccaricati da un numero di ore “buche” medio pari a 2 settimanali per non meno di 66 ore annuali. Non è superfluo notare a tale proposito che le 18 ore lavorative in classe non possono prevedere pause caffè o interruzioni, in quanto la responsabilità di natura contrattuale ed extracontrattuale in capo al docente vieta tali possibili momenti “morti”, giustamente codificati in tante realtà lavorative. Infatti, l’estensione di una simile pratica al corpo docente ingenererebbe a carico dello stesso la fattispecie della culpa in vigilando con conseguenti pesanti riflessi giuridici.
Unendo i due dati giungiamo a 135 ore ulteriori. Dunque potremmo tranquillamente valutare un totale pari a 1490-1590 ore annuali.

La maggior parte dei docenti viene coinvolta in attività funzionali ulteriori, la maggior parte pagata forfettariamente (vale a dire con poche ore realmente retribuite e altre svolte come atto di volontariato e a titolo sostanzialmente gratuito), quali orientamento, accoglienza, orario, rapporti con le famiglie, commissioni, sito web, etc. Tali attività sono ben poco quantificabili e costituiscono un immenso sommerso cui lo Stato attinge a piene mani per far funzionare le istituzioni scolastiche, in nome di una tanto millantata quanto ben poco reale autonomia.
Abbiamo volutamente omesso i tempi destinati a ulteriori colloqui individuali con le famiglie, comunicazioni online con alunni per consigli, consulenze e quant’altro possa servire al raggiungimento degli obiettivi programmati, viaggi d’istruzione e visite guidate (spesso spacciate all’opinione pubblica come viaggi di piacere gratuiti per il corpo insegnante), etc., forse per uno spirito di missione che, nonostante i ripetuti tentativi di demolizione e le umiliazioni subite ad opera di fattori esterni, continua ad aleggiare nella nostra professione.
Ora se la media dei paesi EU21 prevede 1580 ore annuali di attività (ma da tale computo sono escluse Italia, Francia, Finlandia, Irlanda, Lussemburgo, Grecia, Belgio, perché non comunicano direttamente la reale entità), possiamo osservare che in base a 1490-1590 ore annuali unite a tutte le attività non quantificabili, e nonostante un calcolo fortemente volto al ribasso, la media annuale di ore di impegno dei docenti di scuola secondaria di secondo grado è perfettamente in linea con i dati europei, se non maggiore, anche laddove scorporassimo le ore “buche”.
Siamo cioè arrivati a una conclusione che in Austria dei governanti più avveduti dei nostri avevano raggiunto senza grandi problemi di calcolo.
Non sarebbe inutile notare che dividendo il dato medio europeo e di conseguenza quello italiano per 45-46 settimane lavorative (pari all’impegno medio di un lavoratore in numerosi comparti), otterremmo circa 35 ore settimanali. In sostanza se pure, come da più parti si afferma, fosse stato rispondente al vero che i docenti abbiano tre mesi di ferie effettive, emergerebbe che nel corso degli altri nove mesi il carico lavorativo sarebbe addirittura superiore a molte categorie. D’altronde in pochi all’interno di queste sarebbero disposti a sacrificare domeniche e giorni liberi, vacanze di Pasqua e Natale senza adeguate compensazioni, per svolgere attività che il docente spesso si trova per forza di cose a dover concentrare proprio in questi periodi al fine di espletare al meglio il suo compito.
Ma arriviamo a una delle note dolenti, il salario.
A fronte di un carico lavorativo quanto meno equivalente a quello sopportato dai nostri colleghi d’oltralpe ci aspetteremmo, in virtù dell’appartenenza all’Unione europea, sempre chiamata in causa quando si tratta di prepararci a subire le più ignominiose riforme economiche, un trattamento salariale simile a quello presente in gran parte dei paesi dell’Unione (è fin troppo facile per il MIUR cercare di utilizzare dati di nazioni come la Romania, la Bulgaria o l’Ungheria che, a fronte di situazioni economiche disastrose, difficilmente possono garantire salari commensurabili con quelli europei, in presenza di un reddito medio pro capite bassissimo). Ma di una tale equiparazione alla tanto evocata Europa, non troviamo neppure l’ombra. I salari dei nostri colleghi tedeschi, danesi, svedesi, lussemburghesi, olandesi non sono neanche lontanamente paragonabili ai nostri.
Se il lordo del salario in ingresso per un docente italiano è pari a 24.846 € annui, in Germania arriviamo a 48.484 €, in Danimarca a 41.457 €, in Austria a 32.115 €, per non parlare dell'idilliaca situazione lussemburghese (75.997 €). Qualora si confrontino i salari in uscita, nel nostro paese previsti al raggiungimento dei 35 anni di anzianità (quindi attualmente non raggiungibili in base al blocco dei salari e degli scatti stipendiali previsto dagli ultimi dicasteri delle Finanze, della Funzione pubblica e dell'Istruzione), a fronte dei nostri 38.902 € annui lordi, i colleghi tedeschi a fine carriera raggiungono quota 66.853, i danesi 53.504, gli austriaci 67.581, i finlandesi 47.270, gli spagnoli 46.591, per non parlare dei soliti lussemburghesi (132.101 €).
Volendo analizzare un caso concreto si può tranquillamente prendere sott'occhio quello francese. Tra i colleghi transalpini il salario netto in ingresso è pari a 1.890 €, che dopo due anni di carriera passa 2.032 €, dopo 10 oscilla tra i 2.292 e i 2.384 € (la progressione prevede scatti d’anzianità per tutti e ritmi d'avanzamento in base al merito individuale, il minimo corrisponde a quanto percepito

per la semplice anzianità da un docente in classe normale), per arrivare a un'oscillazione tra 3.173 è 3.722 € a fine carriera, raggiunta con 20-30 anni di servizio. La cifra viene calcolata escludendo l'indennità di residenza e altri supplementi. A questo salario vanno ad aggiungersi emolumenti mensili legati alle zone disagiate in cui si opera, all'orientamento degli alunni, all'attività di professeur principal.
Ogni commento a questo punto risulta superfluo; è quanto meno avvilente osservare la diversa considerazione che ricevono i nostri colleghi francesi, legata a un progetto di costruzione dello Stato e di senso dello Stato evidentemente diversa dalla visione mostrata dalla classe politica italiana attuale.
D’altronde poco ci si può aspettare da chi in maniera schizofrenica prima illude con un concorso truffaldino i docenti precari in attesa di poter essere assunti a tempo indeterminato (dopo aver svolto un percorso formativo che li aveva abilitati all’insegnamento) e di fruire con un minimo di sicurezza almeno di quei 24.846 € lordi, privi di ulteriori incrementi, stante l’attuale blocco della progressione di carriera, e poi propone una modifica tanto radicale al carico orario dei docenti di ruolo.
Ancor di meno si può apprezzare il pensiero prospettico di “tecnici” che proseguono nell’ormai infinito taglio dei fondi destinati alla scuola pubblica, visto che la spesa ad alunno di scuola secondaria di secondo grado nel 2009 era già al di sotto della media OCSE pari a 9.755 € e alla media EU21 di 9.666, raggiungendo appena i 9.076 €, contro i 12.809 dei francesi, gli 11.287 dei tedeschi, gli 11.880 degli olandesi, gli 11.265 degli spagnoli.
Ora se moltiplichiamo per 223.802 insegnanti in servizio a t. i. e a t. d. presso le scuole secondarie di secondo grado nell’a. s. 2009/10 (Relazione del MIUR alla Camera dei Deputati, 2010) lo stipendio medio dichiarato per il 2011/12 alla rete Eurydice (non essendo presenti aumenti salariali il dato può essere abbastanza vicino al dato reale di soli due anni prima, vista la razionalizzazione compensata in parte dall’uscita dal lavoro di personale con retribuzioni medie più elevate), pari a 30.431 €, otteniamo la cifra per retribuzione dei docenti pari a 6.810.518.662 €. Tale cifra divisa per 2.548.836 studenti, porta a 2.672 € il costo medio per studente rappresentato da salari per il corpo docente. Da 2.672 a 9.076 € il passo è molto lungo, pertanto sarebbe interessante capire, per pura curiosità, dove finiscano (al di là delle ulteriori retribuzioni per A.T.A. e dirigenti) gli altri 6.404 € ad alunno dichiarati, stante la condizione terribile dell’edilizia scolastica e l’atavica assenza di materiali e infrastrutture all’interno delle istituzioni scolastiche.
Peraltro proprio negli anni 2008-2010 l’allora ministra sciorinava dati di presunti costi dell’istruzione superiori alle medie europee, informando l’opinione pubblica in maniera distorta dietro dettato dei plenipotenziari dell’economia, sempre alla ricerca di denaro per coprire un debito pubblico galoppante, alla cui riduzione ora gli stessi docenti dovrebbero essere chiamati a contribuire insieme alle altre categorie solite destinatarie delle azioni di “risanamento” delle finanze pubbliche.
Non è inutile peraltro ricordare che l’Italia risulta fanalino di coda anche nell’investimento per ricerca e sviluppo in rapporto al PIL, attestandosi a poco più della metà della media europea (1,26% sul PIL nel 2010 a fronte del 2,26% francese, del 2,82% tedesco), con obiettivi Europa 2020, stabiliti nell’aprile del 2011, veramente ridicoli (1,53% sul PIL) rispetto a quelli francesi, tedeschi, danesi, spagnoli (tutti pari al 3%), per non citare quelli finlandesi e danesi (4%).
Di fronte a dati simili si profila all'orizzonte con tutta evidenza una delle motivazioni che spingono MIUR e mass-media a premere su forme di disinformazione sulla professionalità docente che sconfinano nella manipolazione della verità e nella diffamazione. Si cerca in sostanza di convincere prima di tutto noi operatori del settore e successivamente l'opinione pubblica che il lavoro non viene prestato adeguatamente (come se un caso di malasanità potesse comportare una condanna collettiva per tutta la categoria dei medici, una sentenza erronea di un giudice potesse assurgere a simbolo qualitativo di tutta la categoria, etc.), che anche la nostra sarebbe una casta, “ricca” di privilegi e in sostanza parassitaria.

A tutta questa situazione si aggiungano quattro anni di blocco sugli stipendi (con conseguente perdita del 25% del potere d’acquisto), senza più nemmeno l’indennità di vacanza contrattuale e con l’abolizione ormai sine die degli scatti di anzianità. A quest’ultimo proposito sarebbe opportuno suggerire ai “tecnici” del Ministero che sarebbe corretto informare la rete Eurydice e, conseguentemente, la Commissione europea da cui essa dipende attraverso l’EACEA, che allo stato attuale oltre a essere bloccato l’incremento stipendiale per assenza di rinnovo contrattuale, è bloccato anche il sistema della progressione per anzianità, che tuttora risulta operativo a occhi stranieri che leggano tali rapporti. Aggiungiamo inoltre che sarebbe corretto informare lo stesso organismo, perché questo appaia a chiare lettere nelle schematiche pubblicazioni ufficiali della stessa rete, su quale sia la percentuale elevata di docenti precari che vengono chiamati annualmente a mantenere in piedi, insieme ai docenti di ruolo, quella “macchina” dell’istruzione pubblica (tale rimane nonostante i giochi linguistici e l’evidente promozione delle scuole private cui tanto tengono i nostri governanti, quando dichiarano che i contributi, non previsti dalla Costituzione, se non a seguito di abili e tendenziose interpretazioni giuridiche, saranno garantiti e anzi incrementati), cui il paese sembra in maniera così miope disinteressarsi.
Noi firmatari del presente documento vogliamo affermare con forza come anche su questi aspetti non secondari della nostra dignità di lavoratori sia giunta l'ora di abbattere i veli di omertà, le ipocrisie, le falsificazioni che da troppo tempo aleggiano intorno.
Rigettiamo inoltre i contenuti del Ddl 953 appena licenziato dalla VII Commissione della Camera dei Deputati, in quanto lesivi dei diritti e dei principi costituzionalmente garantiti di libera espressione e di rappresentanza all’interno delle istituzioni scolastiche.
In particolare esprimiamo disappunto per il dettato dell’art. 1 commi 3, 4 e 5, nei quali si prevede l’eliminazione de facto degli articoli del Testo Unico, posti a garanzia della democratica partecipazione alla vita scolastica (cui segue all’art. 13 l’eliminazione de iure degli stessi articoli del T. U. attraverso lo strumento dell’abrogazione), per mezzo della sostituzione di tali istituti con statuti e regolamenti prodotti all’interno delle singole scuole. Questi statuti “regolano l’istituzione e la composizione degli organi interni, nonché le forme e le modalità di partecipazione della comunità scolastica”. In sostanza si attribuiscono pieni poteri alla dirigenza (organo di gestione) e agli organi di indirizzo (secondo quanto sancito dal D.Lgs. 165/01 riformato dal D.Lgs. 150/09, il cosiddetto decreto Brunetta, e all’art. 2 c. 1 del Ddl 953 sopra citato) nella concessione di diritti di assemblea, organizzazione e proposta, finora costituzionalmente e normativamente garantiti. A fronte di tale epocale e discutibile riforma, si fa un generico riferimento alla valorizzazione del “diritto all'apprendimento e alla partecipazione degli alunni alla vita della scuola”, del “dialogo costante tra l’espressione della libertà professionale della funzione docente e la libertà e responsabilità delle scelte educative delle famiglie”, senza esplicitazione reale di come rendere esecutiva tale proposta, nel momento in cui si demanda ogni applicazione concreta agli statuti delle singole scuole. A nulla vale il generico controllo dell'organismo istituzionalmente competente stabilito al c. 5 dell’art. 3 (in via transitoria l’U.S.R.), se non sono resi chiari i criteri di valutazione di merito. Nella sostanza i diritti di assemblea sanciti dagli articoli 12-15 del D.Lgs. 297/94 scompariranno dalle normative nazionali e non sapremo forse mai se e quando in tutte le scuole della Repubblica saranno ristabiliti concretamente istituti ad essi similari.
A noi sottoscritti appare quanto meno incredibile che al Consiglio dell’autonomia (istituzione sostitutiva del Consiglio d’Istituto, prassi tipicamente italiana di sostituzione terminologica, cui corrisponde spesso una modifica sostanziale che cela l’erosione di diritti e prerogative) venga garantita la possibilità, seppure con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, di variare non solo lo statuto dell'istituzione scolastica, ma anche le modalità di elezione, sostituzione e designazione dei propri membri. Così, mentre con la legge di stabilità assistiamo all’estensione della riserva di legge in contesti specificatamente contrattuali, si elimina l’area riservata alla tutela legale, in ambiti tanto delicati quali la partecipazione democratica alle attività di controllo e di indirizzo dell’istituzione scolastica. Appare ancora più chiaro quanto sia pericolosamente volto all’attacco della libertà di espressione, di docenza e di libera fruizione della cultura tale Consiglio

dell’autonomia, nel momento in cui ad esso viene consegnato il diritto di designare i componenti del nucleo di autovalutazione. Questo organismo di 5-7 membri, che, in base art. 8, prevede forme di raccordo con l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI), dovrebbe valutare efficienza, efficacia e qualità complessive del servizio scolastico, applicando criteri e parametri imposti da un’istituzione che ancora oggi, a 8 anni dalla ratifica formale della sua nascita, non ha saputo fornire indicazioni finalizzate alla crescita della qualità della scuola, tranne la trasformazione in “quizzificio” di alcune fasi della vita scolastica.
La designazione di personale esterno all’istituzione scolastica in tale organismo, con superficiale riferimento a competenze possedute (quali e in che modo verranno certificate? chi sarà in grado all’interno dell’organo di indirizzo di individuare tali competenze?), fornisce di fatto a personalità giuridiche estranee la possibilità di esprimersi indiscriminatamente nella valutazione del sistema scolastico, senza nessun tipo di garanzia di neutralità reale e giuridicamente esplicitata.
Inaccettabile appare, inoltre, la possibilità che il consiglio possa essere integrato, “con il voto favorevole di almeno i 2/3 dei componenti del consiglio stesso, da ulteriori membri esterni, scelti fra le realtà” extrascolastiche, “in numero non superiore a due”. Quest’ultimo aspetto concederebbe una chiara possibilità di interferenza da parte di enti e forze esterne (genericamente definite “del territorio”) che, pur non avendo diritto di voto (allo stato della proposta attuale), sarebbero autorizzate a indirizzare a proprio favore le attività didattiche di una scuola, nata per perseguire la formazione del cittadino più che per poco nobili finalità individuali (la lettura degli art. 33, 34, della Costituzione italiana sarebbe utile per l’on. Valentina Aprea, da troppi anni impegnata nella spasmodica ricerca di continue riduzioni degli spazi di democraticità della scuola e indefessa fautrice della assunzione del personale per chiamata diretta dei dirigenti scolastici). Il vulnus giuridico, che si creerebbe, poi, con l’ingresso definitivo di entità esterne all’interno dell’apparato scolastico nella sua forma diffusa, porterebbe a limitare l’imparzialità dell’amministrazione e l’esclusività di servizio alla Nazione cui sono tenuti i docenti e il personale della scuola (cfr. art. 97 e 98 della Costituzione) e, in sostanza, alla riscrittura dello stesso dettato costituzionale.
Appare, altresì, grave il contenuto dell’art. 6, per mezzo del quale si delimita definitivamente l’ambito di intervento del Consiglio dei docenti (nuova definizione linguistica per il Collegio dei docenti) all’interno della pura attività didattica, eliminando di diritto quelle residue possibilità di consultazione e elezione che il D.P.R. 275/99 (Regolamento dell’autonomia) e il D.Lgs. 165/01 non avevano ancora intaccato. Emerge a nostro parere un’inaccettabile compressione dell’esercizio della collegialità, nel momento in cui l’attività dei Consigli di Classe, anche in virtù dell’art. 13 che abroga gli artt. 5-7 del Testo Unico, perde quella centralità che finora aveva avuto, affermando genericamente l’art. 6 che l’ “attività didattica di ogni classe è progettata e attuata dai docenti che ne sono responsabili”, non precisando, per di più, la qualità di tale responsabilità (contrattuale, extracontrattuale, disciplinare, o tutte insieme?). L’indicazione superficiale del comma 2, secondo cui il Consiglio di classe sarebbe una non meglio precisata articolazione del Consiglio dei docenti, pur in continuità di vigenza del comma 1bis dell’art. 5 del D.Lgs. 297/94, venendo meno il restante art. 5 del medesimo D.Lgs. e tutta la legislazione ad esso ricollegabile, creerebbe di fatto un ibrido normativo, rispetto al quale apparirebbe riconfermata, oltreché concretamente e giuridicamente garantita, sopratutto la potestà valutativa di tali istituti. Infatti, ancora una volta si demanda agli statuti di ogni singola scuola, divenuta una sorta di regno indipendente all’interno dello Stato, ogni forma di collaborazione, condivisione, partecipazione di alunni e genitori alla definizione e al raggiungimento degli obiettivi educativi.
Ad aggravare la natura dell’intervento “riformatore”, emerge anche il tentativo di sottrarre all’ambito contrattuale la definizione oraria della partecipazione alle attività “collegiali”, nel momento in cui caratteristiche e forme di esecutività appaiono allo stato attuale della proposta, demandate alla disciplina statutaria.
Se si estendesse ulteriormente l’analisi ad ogni singola espressione del Ddl 953, troveremmo senza ombra di dubbio ulteriori attacchi alle prerogative democratiche previste per gli organi collegiali

delle istituzioni scolastiche, divenute ormai una delle residue roccaforti dell’esercizio della democrazia di base, verso cui tanto ostili oramai si mostrano i governanti del nostro Paese. A chi detiene il potere politico e ai poteri che lo sorreggono fanno evidentemente paura il libero esercizio del pensiero, la libera espressione delle idee e la loro altrettanto libera circolazione. Appare chiaro che simili provvedimenti lasciano trasparire la idiosincrasia dei licenziatari di tale decreto verso la salvaguardia di percorsi formativi dell’individuo finalizzati alla crescita del senso critico, alla capacità di riflessione e allo sviluppo di competenze utili a smascherare impietosamente gli inganni e le mistificazioni di cui, spesso, si alimenta lo stesso potere.
Stride altresì questo astruso e meschino tentativo di porre un definitivo bavaglio al libero confronto democratico all’interno delle istituzioni scolastiche con le dichiarazioni di facciata che appaiono nel profilo culturale, educativo e professionale delle scuole secondarie di secondo grado (D.P.R. 87, 88 e 89), nel momento in cui in esso si afferma l’importanza fondante per gli alunni della “pratica dell'argomentazione e del confronto” e, nel contempo, quella del “confronto tra le componenti della comunità educante, il territorio, le reti formali e informali, che trova il suo naturale sbocco nel Piano dell'offerta formativa”.
Probabilmente la VII Commissione della Camera ritiene che, rendendo aleatoria l’esistenza dei momenti di dibattito, sia possibile massimizzare i risultati degli stessi. D’altronde, i docenti sostenuti dal loro spirito di missione si sono sempre distinti per la capacità di sanare le falle del sistema scolastico che, a più riprese, i nostri governanti non si sono preoccupati di chiudere o, addirittura, hanno aperto. È evidente che per questi “gestori” del bene pubblico vale sempre il vecchio adagio secondo cui “bisogna sempre fare di necessità virtù”.
Alla luce di tutte le riflessioni sopra esposte, noi docenti sottoscrittori del presente documento riteniamo che l'entità dell'attacco alla dignità dei docenti, al loro lavoro, al loro impegno professionale e umano, al di là di qualunque possibile rimozione delle norme contenute nella legge di stabilità, solo per il fatto di essere stato concepito in maniera frettolosa e superficiale, pubblicizzato in modo fin troppo tempestivo e altrettanto frettolosamente ritirato, rappresenti un atto grave che non può non essere fermamente discusso e contestato.
L’intero impianto normativo, che, a più riprese, tenta nella pratica di smantellare le fondamenta stesse del diritto costituzionale a una educazione del cittadino libera, gratuita e statale, deve essere rigettato in toto.
Noi docenti siamo fermamente convinti che il futuro di una Nazione non risieda nella ridicola, generica e rapida approvazione di nuovi contenuti d’insegnamento dal vago sapore patriottico, quanto in una più tempestiva approvazione di provvedimenti seri, ponderati, condivisi con le varie professionalità qualificate del settore e di consistenti stanziamenti finalizzati al miglioramento della qualità di tutti gli strumenti utili al progresso e alla crescita etica e culturale della Nazione medesima.
Invitiamo, pertanto, docenti, dirigenti e lavoratori della Scuola ad adottare ogni possibile e legale forma di protesta.
Aderiamo, dunque, allo stato di agitazione di fatto realizzatosi in questi giorni nel settore e invitiamo genitori, alunni e cittadini a sostenerci nella difesa della Scuola Statale dagli assalti condotti in nome di una miope politica economica e frutto di una cosciente azione di delegittimazione.

Nessun commento:

Posta un commento